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(L’ultimo dono è il titolo del diario di Sandor Marai. Anche lui, come me, lo iniziò a 84 anni)
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11 dicembre 2022
Cristo ha sbagliato a proporre a tutti gli uomini un’ideale di vita talmente alto che solo pochi possono seguire?
Sembra essere questa la domanda che Franco Cassano si fa nella sua rivisitazione della leggenda del Grande inquisitore, quinto capitolo dei Karamazov, dandone una lettura diversa dalle più consuete. Il Grande inquisitore, nella Siviglia del ‘500 condanna Cristo al rogo perché colpevole di essere tornato sulla terra a disturbare la Chiesa, che rivolge la sua amorevole attenzione alla moltitudine degli uomini che Cristo trascura.
L’inquisitore vanta però delle ragioni e noi siamo chiamati a capirle. A detta dell’inquisitore Cristo è colpevole di aristocrazia. Ha abbandonato gli incapaci di sacrificio e di eroismo per amare solo i pochissimi capaci di vivere nella privazione dei digiuni e dei deserti.
Ma, detto questo, l’accento subito si sposta dall’aristocrazia di Cristo a quella degli eletti della terra. Chiariamo subito al lettore che da un lato termini come migliori, eletti ecc. o, dall’altro, termini come deboli, sottomessi, ecc. sono stati (anche se spesso vorrebbero invertiti) adottati per utilizzare (non ce vogliate per questo) il lessico dell’inquisitore e dei suoi commentatori.
Scrive Cassano: “La Leggenda dell’inquisitore è capace di illuminare il rischio che costantemente circonda gli spiriti prescelti, quello di collocarsi talmente più in alto dei propri simili da rimanere soli”. E prosegue: “L’errore che l’inquisitore rimprovera a Cristo è comune a tutti coloro che, mossi da una forte spinta ideale, si gettano impetuosamente in avanti, scoprendo poi dolorosamente di non avere più amici dietro di loro, ma di essere circondati dall’indifferenza, se non addirittura dall’ostilità”. L’inquisitore prova “fastidio per l’arroganza degli eletti, per tutti coloro che predicano una virtù che solo loro sono in grado di praticare”. E più tardi: ” La leggenda ci aiuta a scorgere l’insopportabile presunzione dei migliori, quel narcisismo della perfezione morale che disprezza chi è rimasto attardato e si è fermato qualche gradino più giù”.
Mentre gli eletti cercano di aiutare la maggioranza pigra proponendo “esempi irraggiungibili e alteri” il potere astuto degli inquisitori offre protezione e richiede in cambio sottomissione, che la massa accetta volentieri perché lo esenta dallo sforzo del pensiero e dell’azione evolutiva. Ha gioco facile il potere del resto, anche per l’errore che commettono gli eletti, quello di chiedere alla massa “una virtù che solo loro sono in grado di praticare”. “Quanto più il potere saprà lavorare su queste debolezze, quanto più saprà usarle a suo favore, tanto più riuscirà ad interrompere le comunicazioni tra i migliori e tutti gli altri, tanto più riuscirà ad avvelenare i pozzi, lasciando gli eletti senza eserciti ed arruolando la grande maggioranza degli uomini alle proprie dipendenze”.
Poco conta qui, per noi, che su questa debolezza degli attardati la Chiesa fondi abilmente il proprio potere, accogliendo il loro ritardo, sfruttando la loro debolezza, concedendo perdono e indulgenza, diritto all’errore e assoluzione e così dominandoli, sottomettendoli. E’ un problema della Chiesa, è il suo peccato, ma in questo momento non ci riguarda. Il punto che interessa Cassano è ora un altro: l’errore dei migliori va superato non permettendo che si separino da tutti i deboli.
Innanzitutto devono imparare a non essere monotematici e fastidiosi, ad avere interesse anche per qualcos’altro che non sia la virtù. Se finora nulla di ciò che attrae i deboli li ha interessati, devono convincersi che hanno consumato così la sconfitta del bene, travolto più dalla sua supponenza che dalla forza di male esterno. Occorre dunque riconoscere tutto questo e intraprendere la marcia per cambiare.
“Riconoscere e rispettare le debolezze, impedire la separazione, ripristinare i collegamenti fra i fortunati e i deboli”. Ecco le parole con cui il nostro conclude. Ecco le parole che, secondo lui, dovrebbero guidare gli isolati ad andare verso gli uomini comuni che non si sentono attratti dal deserto o non sanno che esista. Andare i mezzo a loro e rimanervi, senza giudicarli nel loro cuore. Soprattutto senza sfruttarli come fa l’inquisitore. Anzi chiedendo loro perdono per il peccato d’orgoglio.
Ma la faccenda è tutt’altro che semplice. Superare l’isolamento ha sempre, per l’emarginato, due scogli da superare, uno interno e uno esterno: perché da un lato gli isolati hanno scelto spontaneamente il proprio superbo isolamento apprezzandone solo i profitti, ma dall’altro sono stati sapientemente isolati dai cosiddetti deboli, in realtà padroni del campo, che hanno voltato loro le spalle ed elevato il loro ormai insuperabile muro di cinta. Un muro di cinta fatto di spalle girate.
Ma io vorrei concludere senza tale esitazione nel cuore. Chi isola i migliori non lo fa per divertimento. Vi sono spesso dei buoni motivi. Se i migliori si accostassero a tutti senza ostentare diversità, se amassero e aiutassero la debolezza, se fossero buoni compagni sin dall’inizio, sarebbero certamente accolti dalla maggioranza della truppa. Sappiamo che esistono persone a cui vogliono bene tutti: forti e deboli, colti e meno colti. Tocca a loro cambiare registro, se ne sono capaci, se riescono ancora a capire le cause del loro problema.
Ma a volte è tardi. Ormai l’isolato ha una etichetta indelebile incollata in fronte e il mondo non cambia facilmente parere. Il perdono invocato resterà vox clamantis in deserto. Ormai non si fidano più e tu devi rifarti una vita altrove, dove nessuno ti conosce. E qui cominciare già col piede giusto.
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18 dicembre 2022
Stanotte mi è capitata una cosa insolita. Mi sono svegliato alle 5 e 30 seduto compostamente in poltrona con un libro di Rovelli aperto sulle ginocchia. Avere per l’intera notte un unico sonno non mi capita mai. Il libro era rimasto aperto su una pagina. Un dito la fermava. Alcune parole vi erano sottolineate.
“Allo stesso modo di tempo e spazio, o di campo elettrico e campo magnetico, nella nuova meccanica si fondono anche i concetti di energia e massa. Prima del 1905 sembrava certo che due principi generali valessero in natura: la conservazione della massa e la conservazione dell’energia. La conservazione della massa era stata verificata dai chimici in tutti i processi. La conservazione dell’energia seguiva direttamente dalle equazioni di Newton, ed era considerata una delle leggi più generali e inviolabili. Ma Einstein si rende conto che energia e massa sono solo due facce della stessa entità (questo sottolineato due volte), come il campo elettrico e quello magnetico sono due facce dello stesso campo, e come lo spazio e il tempo sono due aspetti dello stesso, unico spaziotempo. E comprende che la massa, da sola, non si conserva, e l’energia – così com’era concepita allora – da sola non si conserva. L’una si può trasformare nell’altra: esiste una sola legge di conservazione, non due. Quello che si conserva è la somma di massa e di energia, non ciascuna delle due separatamente”.
Chissà se anche fra corpo e anima c’è questo scambio e sussiste anche per loro la costanza della loro somma? Mi pare di udire il monito di Yeats: più il corpo cala e più l’anima deve crescere. Chissà se alla cremazione tanta massa del nostro corpo si trasforma in energia equivalente? Oggi sappiamo che la loro somma continua inalterata. Siamo all’immortalità della somma. Chissà se l’uomo che resta, libero nel cosmo, è quella somma? Chissà se Dio stesso è quella somma.
E siamo arrivati a Dio. Ho spesso dichiarato il mio ateismo. Avrei dovuto essere più preciso: non mi viene facile credere al Dio monoteista giudice onnipotente. Un Dio creatore riesco invece ad immaginarmelo. Lo vedo qui, in queste righe di Rovelli, in questa cosa in cui sia lui, sia noi, consistiamo ab eterno. Lo vedo in questa “qualcosità” nebulosa, che intuisco ma non so dire. In questa cosa che noi siamo sempre stati e continueremo ad essere; in questa cosa di cui siamo co-creatori.
Perdonatemi. A 85 anni si pensa spesso a nuovi conforti; fra questi ogni tipo di scenario che tenga il Nulla lontano dai pensieri.
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1 gennaio 2023
“Nel 1905 Einstein arriva alla dimostrazione della struttura granulare della materia… Esiste una granularità nel fondo di tutte le cose”. (Rovelli)
L’universo è una manciata di chicchi. Forse la mano forte e grande, che stringe i chicchi e con ampio gesto li sparge, aveva bisogno nell’uomo primitivo di essere visualizzata come quella di un buon seminatore. Questo bisogno infantile dell’umanità ha portato all’idea che il seminatore continui a seguire lo sviluppo della sua semina, il raccolto, la separazione del grano dal loglio, il giudizio, l’elezione del buono e lo scarto del seme cattivo.
Ma non temete. Questo ente universale, che abbiamo chiamato chicco, altro non è che l’umile grandiosa materia intelligente che vortica eternamente nell’universo con regole sconosciute e che nessuno giudicherà e condannerà. Materia che oggi siamo e domani saremo, in perfetta continuità.
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8 gennaio 2023
In una nebbiosa e oscura notte di Copenhagen lungo un marciapiede illuminato da radi lampioni, il giovane Heisenberg vide un passante infreddolito. Alla fioca luce del lampione vide che camminava a passo svelto. Appena uscito dalla bolla di luce però spariva del tutto per poi ricomparire presso il lampione successivo.
I suoi biografi ci raccontano le riflessioni che si accesero in lui. Probabilmente pensò che anche con la sola ragione si può immaginare di ricostruire la vera traiettoria dell’uomo fra un lampione e l’altro.
Quanto a me credo che non avrei potuto evitarmi la domanda che separa in opposte fazioni sia fisici che filosofi: quando lui non lo vedeva, il passante c’era ancora? Siamo noi reali solo durante la relazione, durante l’interazione con un altro oggetto? Esiste ancora l’anima quando si spegne la luce del giorno?
La mia risposta conta quasi nulla, ma è decisamente sì. E non per fede: credo basti la sola ragione per vederla.
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15 gennaio 2023
Stamane mi sono svegliato con una immagine. Vedevo un fiore di giglio a tre soli petali, libero, staccato dal suo gambo, che fluttuava nell’aria portato dal vento. In ogni istante lo vedevo in un luogo diverso. E la mia anima diversamente vi rispondeva.
Il giglio tridimensionale che si muoveva al mio risveglio era, in quell’istante, il mio modo di disegnare lo spaziotempo. Il luogo delle tre dimensioni spaziali cambiava allo scorrere del tempo. Impossibile del resto rappresentare quel concetto sulla carta se non animiamo, come Walt Disney, il nostro segno con la continuità temporale. Impossibile superare in modo soddisfacente sulla carta immobile lo xyz delle nostre coordinate abituali. I fisici per farlo sono soliti condensare i tre assi spaziali in un asse solo indicandolo semplicemente come “spazio”.
Non sarebbe meglio però sforzarci un poco di più e aggiungere un quarto asse alla nostra pigrizia?
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15 gennaio 2023
Di solito non lo faccio, ma se per caso mi capita di raccontare a un giovane di 70 anni come mi sento… lui che ha buon cuore crede di capirmi, ma io lo vedo dai suoi occhi che neanche immagina la situazione. Con un giovane non hai possibilità alcuna di comunicare queste cose. Lo contristi e basta. E allora è meglio parlare fra noi vecchi che almeno ci si capisce. Anche se non sempre. L’altro giorno per esempio.
L’altro giorno per esempio Andreoli mi ha scritto una lunga lettera. Francatura a carico del destinatario di euro 2,69 s’intende… ma pazienza. “Lettera di un vecchio a un altro vecchio”, diceva. Devo purtroppo constatare che anche lui non mi capisce, ma so che fa solo finta. È un euforico gentile, un gran signore, un maniaco della vita, ma con me non attacca. Tutte balle! Lui sarà espertissimo sull’al di qua, e del resto sull’al di qua mi battono tutti, ma sull’aldilà non mi batte nessuno. Io, quello, lo conosco come le mie tasche. Lo vedo benissimo dalla finestra ovest di casa mia. Sta proprio lì sotto. Sarà che mi migliora ogni giorno la vista, ma lo vedo ogni giorno sempre meglio. Da quel che mi scrive Vittorino lo vedo sicuramente meglio di lui e posso certificarlo.
Non che qui si stia male, ma si sta meglio di là, credetemi. Non solo meglio. Si sta proprio bene. Non ne avete neanche un’idea. Ma ve lo racconterò un’altra volta. Per oggi basta così.
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22 gennaio 2023
Io credo in Dio, ma il Dio in cui credo non ha la barba bianca. E neanche la toga del giudice.
Chissà come Einstein, Heisenberg (e compagnia) avranno sentito la mostruosità della loro propria scomparsa. Come avranno vissuto la tragedia sociale della mancanza dei loro doni ulteriori? Avranno pronunciato in silenzio il loro “qualis artifex pereo”?
Quanto a me non riesco neanche a impedire che, dalla mattina al pomeriggio, i pensieri del mio diario saltino di palo in frasca. E nessuno che valga due soldi.
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29 gennaio 2023
Ieri mi sono annotato una frase (assai figurata) di Margaret Atwood (Il racconto dell’ancella) che assomiglia ai miei pensieri del momento. Scrive Atwood: “Negli strati più alti dell’atmosfera ci si disaggrega. Si diventa vapore. Non c’è più la pressione [coesione direi io] che ci tiene uniti”. Per qualcuno la frase potrebbe essere un po’ criptica. Inoltre. A che serve precisare questa differenza di stato?
Più famigliare è un memento della nostra religione cristiana: “Ricordati uomo che quel che eri prima di nascere lo tornerai ad essere dopo la tua morte”. Quia pulvis es et in pulverem reverteris. Da polvere a polvere.
In altri termini ancora è stato detto così: tu, o uomo, eri una manciata di granelli sfusi di polvere libera e tale tornerai ad essere (et in pulverem reverteris) anche se ora su questa Terra, per breve tempo, non sei più polvere libera, ma meravigliosa forma solida impastata con acqua. Ricorda infatti che tale impasto seccherà tuttavia rapidamente al sole e la sua forma si disgregherà. Tornerai ad essere la manciata di polvere che eri.
La mia visione della cosa non usa precisamente queste parole, i miei concetti non sono precisamente questi, ma non voglio qui approfondire, anche se è proprio a questa polvere libera nel vento che si rivolgono le mie curiosità e le mie ipotesi.
Vorrei dedicare invece lo spazio di oggi a un’altra domanda: come mai già gli antichi intuirono l’ipotesi granulometrica della fisica odierna? Forse il meraviglioso impasto sentiva oscuramente in sé il suo progetto e il suo destino? Forse avvertiva la sua causa e il suo scopo?
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5 febbraio 2023
Io, la data, a questi diari ce la metto sempre tanto da parere che li consideri pensieri del presente. Devo dire che non è così. Futuro e passato sono il prima e il dopo di una cosa che non c’è. Curioso paradosso dunque: esiste solo il presente e non lo possiamo vivere nell’istante in cui esso esiste. Appena avvertiamo la sua presenza, infatti, l’istante non c’è più. Un istante dura solo un istante e io mi accorgo di lui sempre un istante dopo. Dal punto di vista pratico il concetto di “adesso” è un’astrazione.
L’allievo di fronte alla conoscenza e al suo cammino iniziatico resiste, recalcitra, chiede nutrimento all’altro, chiede insegnamento. Resiste perché la conoscenza è faticosa. Gli viene insegnato (ecco il luminoso paradosso) che non ci sarà insegnamento. Gli viene chiesto di fare proprio ciò che ancora non sa fare. Spesso, come tutta risposta, egli allora sta lì come un figlio, aspettando di essere nutrito, passivo, come un peso morto. Occorre un modo particolare e arduo per convincerlo ad alzarsi e camminare.
Ci troviamo quindi di fronte a un dilemma.
Non possiamo fare nulla con lui se non ci adattiamo alle sue strutture. Ma la disciplina iniziatica non ha il compito di adattarsi, bensì quello di trasformare; se si adatta all’apprendista lo lascia profano. E proprio qui sta il problema. Occorre gratificarlo per non farlo fuggire; e non gratificarlo per farlo avanzare.
Se abbiamo fortuna, però, una soluzione c’è: esiste un desiderio dell’apprendista che può e deve esser gratificato, quello di identificarsi con il proprio potenziale di crescita. Questo è l’unico punto che possiamo incoraggiare e nutrire.
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12 febbraio 2023
Mi piace la domenica, perché il giorno dopo è lunedì.
Oggi è domenica e non c’è niente qui attorno. Tanto che mi chiedo: cosa c’è dove non c’è niente? Provo a rispondere.
“Quando Ismaele finì di defluire dal camino del forno crematorio provò un’improvvisa sensazione di libertà: quella di fluttuare, libero, sciolto, leggero; nella totale assenza di vincoli o problemi. E anche sentì, ma non sapeva come, che sarebbe stato felice così, forse per sempre. Era certo di sentire ogni cosa come prima, e perciò di essere ancora vivo, in un modo addirittura più chiaro e nitido di quando aveva un corpo. Libero dal dolore e dal peso, che sempre offuscano un po’ le percezioni. E anche un’altra n’aveva, di straordinarie sensazioni: quella di essere guarito, mondato da ciò che lo aveva afflitto nelle ultime settimane. Non vi era più memoria corporea del dolore, perché il corpo si era espanso in una galassia di luci, pulite da ogni scoria. Un universo di particelle straordinariamente intatte e vive. Libere da legami cellulari, da attacchi batterici o virali. Non gli importava per nulla di non esser compatto, addensato, coeso come prima. Anzi, data la gran differenza del vivere che sentiva, era certo che la coesione, la densità, la consistenza, le avrebbe, ora che sapeva, avvertite come un peso, una gabbia, un freno all’espansione”.
Quel che precede è l’incipit del mio quarto romanzo in corso d’opera, quello per cui due giorni fa avevo richiesto bibliografia. In realtà vuol essere il sequel del mio primo (1995, 2007) che aveva come motore del thriller l’entaglement quantistico, un’Università italiana e l’ambiente della ricerca scientifica.
Comunque oggi è sempre domenica e rifletto che ho fatto molte cose nella vita, alcune delle quali in assoluta solitudine. Negli ultimi trent’anni mi sono come dissolto, sparito dalla vista della gente, sottratto alla intellighenzia della città. Che non se ne è nemmeno accorta, beninteso! Questa oscurità non mi ha mai pesato, perché l’assenza di successo, e l’impegno mondano conseguente, mi regalava tempo per fare ancora di più. In fondo i rari episodi di involontaria notorietà non hanno fatto altro che togliere spazi al mio lavoro, unica cosa che mi restituiva a me stesso.
Ma domani è lunedì e io sparirò nuovamente.
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19 febbraio 2023
Come sono mirabili e apprezzabili la struttura e il funzionamento dell’organismo vivente! Guidato in ogni istante da un misterioso disegno, per niente sovrannaturale, esso si costruisce da solo, si sviluppa, si organizza per reagire all’ambiente, potenziando le funzioni e le strutture che gli servono, scartando e inibendo quelle che gli nuocciono. Ma evidentemente, in tutto questo, esso è amministrato da una Necessità che un giorno dettò per l’eternità i suoi gesti, fissando ciò che un Evento isolato, singolare e casuale si era iscritto in un colpo solo nella sua struttura. Da quel momento l’organismo non fece che replicare il dettato come un automa fedele. La sua estraneità a questo perfetto (e infelice) destino mi pare testimoniata dalla imperfezione dei corpi sociali da lui creati nel corso della storia.
Lui aveva detto proprio così: “il pensiero è una proteina”. Per la sua meravigliosa assurdità questa frase mi aveva colpito come un risveglio. Perché non ci avevo mai pensato? In fondo per arrivarci bastava negare Descartes e affermare che il cogito è esteso. O, reciprocamente, dire che la materia è quel deus absconditus che ci ha dato un solo Caso e tutte le inesorabili infinite Necessità conseguenti.
Ho un amico coetaneo che stranamente non è ancora morto. Comunque non ci vediamo mai. A dir la verità lui non incontra nemmeno i giovani. In pratica sostiene questo, lui:
“Noi anziani, vedi… ogni incontro che facciamo ci diminuisce. Quindi invecchiando è meglio interrompere i rapporti non necessari con gli altri. Vi sono già troppe occasioni inevitabili a ricordarti che il tuo tempo è trascorso e che tu, socialmente, non conti più niente. Attenzione, non ho detto che non vali, bada bene. Ho detto che non conti. Insomma, l’incontro con gli altri ti restituisce una verità sempre taciuta per bontà o piaggeria; ti restituisce, come uno specchio, quello che sei davvero sempre stato: niente”.
E quando lui farfuglia così, io che gli rispondo? Niente.
E però… forse ha ragione, penso, non conti più come prima, ma queste cose non si dovrebbe dirle ad alta voce.
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26 febbraio 2023
Era domenica mattina.
Le ore passavano, ma sul tema che gli stava a cuore continuava a non arrivargli nulla di buono. Alla sua domanda, che pure era quesito dell’anima, l’Anima sua non rispondeva. Fu in dubbio se scrivere o no qualcosa lo stesso, una cosa pur che sia, spostando magari il focus su un tema più condiscendente. Infine non lo fece e concluse che la domanda, che aveva rivolto a sé stesso, non solo era troppo severa: doveva essere anche assai mal posta. Così decise, con un po’ di angustia, di tacere e lasciare che la Terra continuasse ad aver massa senza pesare su niente, a riportar lì la primavera, a nutrire di bellezza quei figli meravigliosi che sapevano amarla.
Anche se quella sua angustia gli nutriva un dubbio. Non c’era in essa il seme chiaro della vanità? Se questa volta era così insoddisfatto delle sue risposte tanto da rinunciare a metterle su carta, voleva forse dire che gli altri suoi diari lo avevano sempre soddisfatto? Cercò di rispondersi che non era vero, che se questa volta non riusciva era perché a questo tema teneva più che agli altri e che inoltre… ecc. ecc.
Quando a 65 anni era entrato nell’età senior i geriatri lo avevano consolato. Gli avevano detto: “La vecchiaia estrema è ancora lontana. Il vero crollo avviene solo a 85 anni”. Dicendogli così, su cosa contavano? Contavano sul fatto che lui a 85 anni sarebbe stato ormai rincoglionito e avrebbe dimenticato la loro profezia?
Noi constatiamo il fatto che l’ordine esistente [nella nostra genetica e fisiologia, ndr] manifesta il potere di mantenere se stesso e di produrre eventi ordinati. (Erwin Schrödinger)
Sarà. Ma l’entropia annunciatagli dal suo geriatra sorridente non si chiama anche disordine? Quanto riusciva a consolarlo oggi l’entropia negativa del vivente? Quella di Teilhard de Chardin, o quella a cui pare accennasse anche Schrödinger? Lui le aveva sempre avute chiare queste cose, ma stamattina gli s’erano un po’ sbiadite attorno.
Forse oggi pioverà – si disse. E toccò il tasto invia. Prima di pentirsi.
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5 marzo 2023
Quanto all’amico che era morto quella settimana che possiamo dire? Era stato noto in città, prima del suo ritiro a vita blindata. Ci si sarebbe quindi aspettati almeno un trafiletto, un necrologio. Ma lui ne aveva proibita ogni forma e i figli obbedirono al suo desiderio di silenzio.
Così andò nudo ad abbracciare il fuoco, avvolto solo da un lenzuolo bianco. Nessuna bara lo chiudeva. Nessuna pubblica notizia informò la città. Nessuno partecipò alla sua partenza, al di là degli stretti familiari.
Le sue volontà le aveva scritte con parole, oggi risibili, di un altro mondo ma entrate ormai nel suo linguaggio di persona che viveva sola. Non mancava la preghiera di incenerire quel foglio insieme a lui.
“Ti desidero, Fuoco – dicevano. – Vieni! Tu che porti oltre il dolore. Rendimi di nuovo invisibile alla Terra, sì che mai alcun passante possa vedermi imprigionato in un tumulo, o da pietra racchiuso, o in altra prigione senza corso d’aria. Che nessun segno resti, di me, visibile dal mondo. Che nessun resto di me sia calpestabile suolo. Che nulla accenni a un mio carcere o ad una mia impotenza. Non è questa la mia condizione; al contrario, finalmente sono libero. Che nessuno sappia della mia partenza da questo luogo e che, di ciò che fu il mio apparire, nessuno immagini la nuova intelligenza, od il suo dove. Ch’io resti per tutti inafferrata presenza e insondato mistero. Non avrai da fermarti su alcuna tomba, passante della Terra. Io non abito più qui“.
La sua scomparsa dalla scena fu quasi impossibile da notare. I giovani non lo avevano conosciuto. I vecchi erano morti prima di lui.
Il resto della settimana nella cittadina fu tranquillo e la cronaca locale non registrò alcun fatto degno di rilievo; solo le solite banalità: siccità, naufragi, guerre, inflazioni, inquinamento, stupri, debito, fame ed altre quotidianità. Il 16 marzo, per dirne una, sarà il suo compleanno. Con questo faranno 85. Spero non lo oscuri la profezia del medico.
Non so come sia andata ma le persone poterono continuare a parlarsi fra di loro con le consuete parole di ogni giorno.
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12 marzo 2023
La morte del teologo Ratzinger, di ubiqua vastità ma di cui non conosceva alcun pensiero, lo aveva portato a riflettere su sé stesso. Per capire questo effetto dobbiamo fare un passo indietro.
Quando a diciott’anni lui espresse il desiderio di iscriversi a medicina fu pesantemente ostacolato da sua madre che non voleva un figlio medico. Il motivo gli resta sconosciuto; ha solo dei sospetti. Di fatto finì che divenne ingegnere controvoglia. Esercitò questa professione tuttavia con serietà ma credo senza brillare particolarmente. Infine una crisi etica e invalidante lo obbligò a cambiare strada. Ma anche nel suo nuovo cammino passò a diversi successivi interessi e altri lavori. Oggi il suo maggior interesse è volto alla teologia. Ed è qui che entra in gioco Ratzinger e la sua riflessione.
Durante gli studi universitari di ingegneria fu colpito da una grave malattia organica che gli fece pensare di non ritrovare mai più le forze di un tempo (come del resto accadde) e di vedere l’unica possibile via d’uscita in una fantasia romantica che per fortuna presto si dissolse.
Pensando agli ultimi anni di Ratzinger, di cui – ripeteva – non sapeva nulla, si era fatta l’idea che la sua vita dovesse esser fatta di sola scrittura e meditazione. Si fermò a questa immagine perché, giusta o sbagliata che fosse, era quella che gli serviva. Dopo di che abbandonò il papa emerito e si fece una domanda personale: quale sarebbe stata la scelta giusta per lui a diciott’anni?
Per tanto tempo era stato irritato con sua madre per avergli impedito di fare il medico. Oggi la ringraziava. Non avrebbe assolutamente avuto la forza di esercitare quella missione. Ma quale altra vita avrebbe potuto fare più utilmente per gli altri disponendo di così poche energie? Gli anni sono passati senza che sia riuscito a rispondervi, come è loro costume.
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19 marzo 2023
Ogni tanto, ma di rado, accendeva la TV. Tutti indaffarati a costruire un mondo migliore per se stessi. Spegneva la TV. Poteva considerarsi esentato da questo affanno? Era sufficiente giustificarsi con antiche sentenze? Concludeva di sì. Senectus nobis haec otia fecit, diceva a se stesso. Del resto che poteva ormai scrivere? Non aveva raschiato sino al fondo il barile del suo cervello sinistro?
Quel che ormai aveva appreso (da Wittgenstein, da Lao Tsu) era stato insegnato a tutti: ” Il tao che si può dire con la mente vigile non è l’eterno Tao; quindi ciò che non si può scrivere con la mano destra, lo scriverà l’altra mano. E di ciò che non si può dire con nessuna delle due si deve tacere”. Se l’insegnamento non lo si era mai incontrato bisognava farne colpa al libero arbitrio o al caso.
Consultò allora l’Y Ching e decise. Dopo aver scritto per quarant’anni parole che non potevano essere dette, decise che le cose si sarebbero svolte da ora in avanti in altro modo. Doveva farsi da parte e lasciare che il nuovo libro… o si scrivesse da solo oppure restasse pagina bianca. Non avrebbe più badato ai segni che la sua mano tracciava sul foglio.
Scarabocchi. Wu-hsin. Quasi poesie. Enigmi che neanche la macchina di Turing.
Poi come tutti i giorni andò a prendere la legna e accese il fuoco. Non aveva bisogno di sapere niente. Fra due giorni sarebbe stata primavera e l’erba sarebbe cresciuta da sola.
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26 marzo 2023
Per alcuni mesi all’anno dalle sue parti quando lui era ancora ragazzo le mucche andavano ogni mattina d’estate al pascolo da sole. Conoscevano la via consueta. Per non starsene a casa neghittoso, talora lui le accompagnava, ma semplicemente seguendole distratto. Non doveva guidarle. Non aveva nessun compito per loro. Era dunque libero a tal segno che ogni cosa attorno alleggeriva la sua mente. Nessuna mente presente, nessun corpo, nessun io camminavano con lui.
Il campano periodico soltanto, a scacciare un tafano molesto.
Lasciando dunque vagare quel vuoto che gli restava in tutta la sua purezza, senza desiderio di risultato alcuno, talora a lui giungeva una luce, una voce?, non richiesta. Gli perveniva, credo, proprio perché non era ambita. Questo in ogni modo l’asciutto contenuto del messaggio: sarebbe bastata all’uomo dapprima una manciata di foglie, ma in seguito addirittura una foglia sola a cancellare i dolori in questa valle di lacrime? Ma che poteva racchiudere l’uomo nella mano?
Una manciata di tre foglie: non mente, non corpo, non io. Nessuna nascita, nessuna morte.
Una foglia sola: il fruscio del suo respiro… che tutta quanta la dottrina riassumeva e recitava, salmodiando a ritmo sempre uguale, senza necessità alcuna che lui lo ricordasse o l’udisse addirittura. Wu-hsin, sussurrava; senza suono udibile da alcuno che non fosse lui. Lui che ancora non conosceva il suo significato.
Wu-hsin. Senza dirlo. Perché lui si diceva da solo se ti ponevi in ascolto.
Mentre il giorno passava.
Alla sera le mucche tornavano da sole. Avevano pascolato tutta la luce del giorno: ma solo povere fronde e cardi. Esauste le foglie d’erba nell’agosto avanzato. Ora occorreva portarle al ruscello a dissetare.
Lui adesso le guidava. La riva del fonte, rocciosa ed aspra, era scoscesa.
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