Ciò che il Daimon vuole.

di Luciano Rossi

Posso dire di essere nato intellettualmente a trentacinque anni. Prima d’allora nessuno si era accorto che io avessi una mente pensante. Improvvisamente la laurea in ingegneria, e il successo professionale, divennero nulla, di fronte al fascino che esercitarono su me le scienze umane e all’apprezzamento che mi procurarono.

Mi si dischiuse un mondo nuovo, incantato, grande; l’unico che fino ad allora io avessi potuto facilmente comprendere, sentire mio. Le Terra e gli uomini erano sempre quelli di prima, non v’è dubbio, ma la nuova visione, la nuova lettura, me li mostrarono immensi. Furono i giorni in cui tutto diventò facile e divertente. Prima le materie di studio scolastico erano state tutte estranee e il loro apprendimento connotato di sola fatica. Il nuovo mondo appariva invece facile, un sentiero in dolce riposante discesa. Come s’io fossi nato già dotato di quelle nozioni.

Era evidentemente quello che il daimon voleva per me. Lo dimostrò il fatto che, sin dal primo giorno, ogni cosa risultò facile, fino alla laurea e anche dopo, per sempre, in quel campo e nei campi affini, che divennero poi le vie sapienziali.

Anche gli eventi del giorno di laurea mi apparvero miracolosi se paragonati alla fatica e al grigiore (che d’improvviso riconobbi essere stati umilianti e non normali) della precedente facoltà.

Le componenti favorevoli e piane di quel giorno sono molteplici. Quattro le principali.

Porrei la prima nel tema scelto per la mia tesi: metodologia della scienza, affascinante e facile per me, e per fortuna invisa a tutti i ricercatori dell’Istituto. Era un pallino del mio relatore, ma lui non poteva darle spazio nel suo corso; desiderava quindi affiancare al suo corso delle esercitazioni di questa materia che nessuno in Istituto amava o conosceva. Come titolo della tesi si decise “Scientificità e inconscio”.

La seconda componente favorevole il professore me la comunicò senza esitazioni, con quel suo modo spiccio: avrei dovuto tenere io il prossimo anno il corso di metodologia. Solo che, poterlo fare, dovevo laurearmi entro giugno perché erano prossimi alla stampa i libretti con i piani di studio e i programmi dei corsi per il prossimo anno. Gli risposi che la sua proposta mi lusingava, ma non ero in grado di accettarla: giugno era vicino, la tesi lunga e… mi mancavano ancora due esami. Di appelli inoltre non ce ne erano più. Beh, che problemi erano? I due professori quel giorno sarebbero presenti per la tesi e io potevo dare i miei due esami e discutere la tesi nello stesso giorno. Ero uno studente lavoratore – risposi – non avevo tanto tempo. – Dai, su. Non fare storie – mi disse, e la chiuse lì.

Suddivisi la tesi in due parti. Decisi di affidare la quota dove mi sentivo più forte alla prima parte, esponendovi una materia che conoscevo benissimo, ossia i temi psicoanalitici che avrei sottoposto ad esame metodologico nella seconda parte. La stesi in pochi giorni perché avevo già il materiale in serbo da anni e gliela portai in lettura. Purtroppo il relatore la considerò disastrosa. – Se sarà così anche la seconda, dovremo rinunciare.

Mi sentii smarrito. Se non andava la prima che conoscevo così bene ed avevo alcuni paper già pronti, già limati, come avrei affrontato la seconda, quasi sconosciuta? La affrontai perciò come potevo, nel modo più elementare, con matematica semplicità. Tempo del resto non ce ne era. Gli diedi le bozze quasi senza rileggerla.  – Fantastico! – disse – Mai visto niente di simile! Va già bene così, non correggere nulla. Presentiamo solo la seconda parte. La prima, la buttiamo.

E io che già pregustavo la bocciatura e il riposo, dovetti mettermi accanto ai due esami mancanti. Ma c’era ancora un ostacolo a cui non avevamo pensato: la burocrazia. Non potevo discutere la tesi se i miei due esami erano stati solo sostenuti ma non ancora regolarizzati in Amministrazione. La sede centrale era lontana. Occorreva almeno un’ora di tempo per la registrazione. O venivano prima i due docenti o la tesi doveva ritardare un po’. I docenti vennero al mattino.

Arrivò così il pomeriggio della tesi. Un commissario, che non conoscevo, detestava sia la psicoanalisi, sia la metodologia. Mi massacrò su tutto. Non potevo aprir bocca senza sbagliar qualcosa. Anche la mia scrittura non gli andava bene.

Uscito dall’aula non fu fatto entrare il successivo. Seguì una pausa lunghissima. Il fiero avversario, lo seppi poi, si era opposto strenuamente alla mia lode, anche se avevo preso la lode in tutti i singoli esami. Ma non vi è nulla da fare neanche per i commissari quando il daimon ci si mette e ha già deciso il mio futuro.

– Lei ci ha sopravvalutato – mi disse poi, quando rientrai a prendere il mio voto. Insegnava Storia delle religioni.

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Nota bibliografica.

Per uno sguardo all’intera opera di Luciano Rossi vai a https://lucianorossi6.wixsite.com/scripta/la-scala-di-shepard.

Per tornare alla Homepage clicca su https://sfogliandoimparo.wordpress.com

Categorie biografia

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