(di Luciano Rossi)
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Quando un editore ti dice che il tuo romanzo filosofico lo vuole a tutti i costi, tutti i propositi che hai fatto, quelli di essere duro e puro, cominciano a vacillare.
Se poi ti dà pure i diritti d’autore, allora è fatta. I diritti d’autore sono una inezia, ma sono un segno. Tu rifletti che l’operazione per lui è in perdita pura, e glielo dici, ma lui (intelligente e appassionato) ti chiarisce le cose: il suo utile sta nel fatto che la tua opera darebbe lustro al suo catalogo, che pure è dedicato ad opere saggistiche classiche, antiche e contemporanee, (Schopenhauer, Leibnitz, Feuerbach per intenderci). Tu ti metti lì e ancora rifletti: questa non è piaggeria, dici, qui c’è dei soldi in ballo. Sono i soldi che lui ci perde a fare la differenza, a far pendere la bilancia. E allora un poco ci credi al tuo romanzo.
Grossissimo errore: tu dimentichi che la sua è solo l’opinione, sincera ma isolata, di un innamorato del suo lavoro e del tuo strampalato genere sperimentale di scrittura. E cedi alla vanità del pubblicare ancora, anche se lo hai già fatto anche troppo per i tuoi gusti.
Ed ecco che lo abbiamo fatto e non avremmo dovuto farlo, nessuno dei due. Un po’ ha venduto, ma non credo sia rientrato dalle spese.

Una giustificazione in più, per cedere alla vanità, però dal mio punto di vista credevo di averla. Ho pubblicato due romanzi perché avevo due dichiarazioni di pubblica utilità da fare.
Nel primo romanzo (La scala di Shepard) intendevo rendere noti i passi avanti che la mia ricerca scientifica sul concetto di Sincronicità junghiana aveva fatto negli anni 90. Questi passi, pochi rispetto alle mie speranze di partenza, ma significativi ed euristici, traevano linfa da scoperte scientifiche avvenute dopo la morte di Jung (1964 e 1982). Romanzo, e non saggio, perché sarebbe stato di più difficile comprensione.
Il secondo libro (Il Vento e la Legge) conduceva invece una sua battaglia per l’eliminazione dell’Albo degli psicologi. Credo, per etica mia, che un mio libro, anche narrativo, debba avere qualcosa da dire che sia di pubblica utilità, una cosa che ancora non sia stata detta, ancora sconosciuta.
Ma questo lo impongo solo a me stesso, sia chiaro. Non affermo in alcun modo che ogni romanzo debba essere sempre utile o bello o buono.
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Nota bibliografica.
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